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Fenomenologia dell'hockey su prato di Luciano Pinna

Pubblichiamo in esclusiva l'ultima opera di Luciano Pinna, su gentile concessione dell'autore. Luciano Pinna, già autore di alcuni saggi dedicati al mondo dell'hockey, tra i quali ricordiamo la raccolta "Storie fatti e racconti" e la fondamentale antologia "50 anni di Hockey a Savona", in questa "Fenomenologia dell'hockey su prato" decide di tornare alle origini, e ci propone un interessantissimo saggio sulla vera essenza del nostro sport.

(1) Le origini

Condividi questo articolo su Facebook Scritto da HockeyItaliano il 11/10/2010

Scrivo di un argomento solo apparentemente di marginale importanza nell’investigazione sui principi assoluti che riempiono, governano e spesso disciplinano la vita e le opere degli esseri umani senza riguardo alcuno alla loro nascita, sesso, censo, cultura, educazione.
A ben vedere tra tutti i valori che l’uomo ha saputo e sa porre di fronte a se stesso come principi guida su cui edificare un percorso di vita, l’hockey su prato non gode certo del consensum omnium, piuttosto deve cedere il passo a concetti e ideali più noti e praticati da una gran moltitudine di credenti.
Eppure esso esiste, cresce, si diffonde a volte spontaneamente altre meno, prolifera e fa proseliti. Questo perché, mi dico, come tutte le attività dell’uomo ha una valenza intrinseca che tende all’auto realizzazione, all’affermazione di sé in quanto pensato dalla mente universale e trascendente che è nel mondo e da questa reso manifesto alle molteplici piccole menti che di essa sono parte integrante.
Bisogna ammettere, a ben pensarci, la capacità dell’uomo, come creatura razionale, a costruire fuori da sé proiezioni della propria coscienza, intesa come capacità manipolativa della realtà immanente nelle cose.
Questo fu il bastone all’inizio: un utensile atto a sostenere l’estrinsecazione di attività, di bisogni fondamentali per la sopravvivenza della specie: arma di difesa e offesa – la differenza tra esse era ed è spesso sottile e capziosa – sostegno fisico, segno distintivo di potere e altro ancora. Poco a poco gli esseri umani realizzarono la capacità di concettualizzare fatti, attività, avvenimenti trasferendo a questi e quelli prerogative e caratteristiche mediate da altri.
Non possiamo affermare con certezza quando questo avvenne e non è neppure di molta importanza in questa investigazione filosofico-scientifica ma dobbiamo credere che le accresciute dimensioni del cervello all’interno di una sempre più capace scatola cranica abbiano giocato una parte preponderante.
Di fatto il bastone da strumento di difesa-offesa divenne strumento di sublimazione ludica, il mezzo col quale relazionarsi con una parte della realtà circostante, traendone spesso diletto e vantaggi. Un simbolo quindi, uno dei primi.
Una forma arcaica e archetipa di gioco dell’hockey moderno, un proto-hockey o ur-hockey, accompagnò fin dalle origini o quasi il genere umano nel cammino evolutivo da homus abilis a erectus a sapiens infine a sapiens sapiens via via fino all’ homo ludens. Non furono passi di poco conto.
Manipolare cose e oggetti con un bastone presente in natura fu una delle prime forme di divertimento, di attività ludica del genere umano, libera ovviamente da disposizioni, codici di comportamento e regolamentazioni.
La compiutezza dell’hockey è insita in sé fin dagli albori dell’avventura umana sulla terra, perfetta da subito tanto che poche, molto poche, sono state le modifiche apportate nei millenni allo strumento: la sensazione che una parte dello stesso, più o meno ricurva, potesse giovare al piacere del gioco, il passaggio da sensazione a certezza, attraverso il percorso semieuristico di prove ed errori secondo un principio cognitivo sancito in seguito dal genio di Galileo produsse la forma ideale del bastone da hockey e quindi l’hockey stesso.
Come spiegare allora il posto che occupa ai giorni nostri questa nobile attività fisica e mentale? Il suo ruolo nella civiltà moderna?
Balza agli occhi di tutti il successo, spesso immeritato, del gioco del calcio, la più nota e praticata forma ludica universale di diletto individuale e collettivo. Tanto più se si pensa che esso nacque molto tempo dopo l’hockey come storici e archeologi sono disposti ad ammettere. Invero sarebbe stato impensabile, pur per un cervello sempre più raziocinante e aperto a nuove interpretazioni logiche della realtà, arrivare a produrre una qualche forma di gioco del calcio. Se era perfettamente logico e razionale che un uomo provasse a spostare, manipolare una pietra o un ciocco di legno, ad esempio, financo a lanciarli lontano da sé con insospettata coordinazione oculo-manuale e non solo era assolutamente imprevedibile e impensabile che egli potesse pensare di fare altrettanto con una parte del suo corpo, un piede ad esempio, anche con una pietra o un pezzo di legno pur di dimensioni poco ragguardevoli.
Il benessere individuale, la ricerca della felicità individuale e collettiva è sempre stato uno dei motori che hanno mosso il progresso umano, una felicità acquisita e assicurata da comportamenti autoreferenziali, da bisogni soddisfatti, necessità ricercate e realizzate in modo ottimale.
Non sono giunti fino a noi tentativi che pure dovettero essere posti in essere di praticare un primitivo gioco del pallone a pietra, della palla a foglie o ciuffi d’erba all’interno di mal conciate interiora di animali o ancora ad altre forme di strumenti più o meno sferici: nel primo caso il dolore provocato all’indomito giocatore in fieri dovette essere insopportabile, negli altri la rozzezza dei palliativi scoraggiante e deprimente.
Mi piace abbandonare, a questo punto, al suo destino ogni considerazione sul gioco del calcio chè esso gode per suo conto di ampie e sbandierate considerazioni, riconoscimenti veri, crediti millantati, elogi, applausi a scena aperta e peana intonati a gran voce da estimatori, praticanti, ex-praticanti, semplici appassionati, associazioni di ultras e hooligans per concentrare quel che resta della mia attenzione sull’hockey prato.
Ha seguito il gioco di palla e bastone, secondo una nota definizione medievale, il corso degli eventi ed è giunto fino al presente, coerente con se stesso e le sue prerogative di passatempo giocoso, superando le avversioni degli oppositori di turno, autonome o coatte, i periodi di stasi, quelli di oscurantismo sportivo, le guerre, le pestilenze, le rivalità, le crisi, le emicranie e gli stati flogistici semplici e complessi.
Si è giocato ad hockey negli spiazzi incolti delle foreste del Pleistocene – almeno supponiamo - tra le mura dell’antica Atene, negli accampamenti dei legionari romani sparse per tutto l’orbe terraqueo conosciuto, nella valle del Nilo e nelle sacre radune delle città Maya e Azteche, nelle campagne francesi e inglesi, così diverse eppur simili, sui campi da gioco delle scuole private inglesi per arrivare fino a noi, su terreni profumati di erba naturale e quelli più asettici in fibre sintetiche poco deteriorabili.
(continua)




Commenti a questo articolo:
Grande Luciano !!

Scritto da Fulvio Da Rold il 15/11/2010 15:14




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